Luci e vedute e diritto alla regolarizzazione
Su Norme e Tributi del Sole 24 Ore viene pubblicato un mio articolo in cui analizzo una sentenza della Cassazione in merito ad un problema comunissimo.
Luci e vedute sulla proprietà del vicino.
Tutti noi prima o poi abbiamo dovuto fare i conti con questi due concetti. Il diritto di luce e veduta è regolato dall’art. 900 al all’art. 907 c.c.
Si tratta in entrambi i casi di aperture sul fondo del vicino, ma con caratteristiche diverse.
Le luci sono delle semplici aperture che consentono l’ingresso di aria e luce, ma senza la possibilità di affacciarsi, mentre le vedute, oltre alla funzione di far entrare luce e aria, permettono l’affaccio.
Le vedute costituiscono, a favore dell’immobile che le ha (fondo dominante), un diritto di servitù che obbliga il vicino (fondo servente) al rispetto delle distanze in caso di nuova costruzione e gli impedisce di chiuderle mediante la costruzione in aderenza. Per le luci questo diritto non esiste e la loro regolarizzazione è obbligatoria. Le luci possono essere al piano terra o ai piani superiori. Tutte vanno munite di grata da 3 cm quadrati e quelle al piano terra debbono essere posizionate a non meno di 2 metri e mezzo dal pavimento. Quelle dei piani superiori a non meno di due metri.
L’articolo è complesso, ma leggibile, E’ interessante perché la Cassazione dà una lezione di diritto a dei giudici che invece di applicare il diritto si erano sbizzarriti in una decisione fantasiosa con richiami infondati alla Costituzione, mantra a cui tutti i poco conoscitori del diritto si aggrappano.
Ovviamente chi ha bisogno di chiarimenti me lo chieda e rispondo volentieri.
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Il diritto di luce e veduta è regolato dall’art. 900 al all’art. 907 c.c.
Si tratta in entrambi i casi di aperture sul fondo del vicino, ma con caratteristiche diverse.
Le luci sono delle semplici aperture che consentono l’ingresso di aria e luce, ma senza la possibilità di affacciarsi, mentre le vedute, oltre alla funzione di far entrare luce e aria, permettono l’affaccio.
Le vedute costituiscono, a favore dell’immobile che le ha (fondo dominante), un diritto di servitù che obbliga il vicino (fondo servente) al rispetto delle distanze in caso di nuova costruzione e gli impedisce di chiuderle mediante la costruzione in aderenza.
L’obbligo della regolarizzazione delle luci irregolari
Detto questo esaminiamo la interessante sentenza della Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12306 del 09/05/23 nella parte che a noi sembra più attuale: rapporto tra principi costituzionali e applicazione delle norme civili.
I giudici esaminano una vertenza relativa alla regolarizzazione di luci irregolari.
La luce irregolare è quella che non è conforme alle prescrizioni indicate dall’art. 901 c.c. che ne indica misure, altezza dal pavimento (diversa se al piano terra o ai piani superiori) e dimensione della rete di protezione. Tollerare da parte del vicino una luce con caratteristiche difformi da quelle previste dall’art. 901 e se l’apertura permette comunque un affaccio può far scattare, decorso il tempo previsto, l’usucapione a vantaggio del titolare della luce irregolare. L’articolo 902 c.c. consente al vicino che lamenta l’esistenza di una luce irregolare, se non è maturato l’usucapione, di pretenderne la regolarizzazione.
La vertenza processuale
La vicenda processuale nasce dalla esistenza di luci irregolari dei quali il vicino pretendeva la riconduzione al rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 901 c.c. Le luci infatti erano prive di rete e ad altezza, nella parte più bassa, minore da quella prevista dal codice.
La vertenza attraversa due gradi di giudizio prima di approdare in Cassazione
La proprietaria di un immobile aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Torino i proprietari di un immobile confinante chiedendo di accertare l’inesistenza del diritto di servitù di veduta sul suo fondo trattandosi di luci irregolari di cui 4 al piano terra e 4 al piano primo. L’esito dell’accertamento verificò che si trattava di luci irregolari e non di vedute e che andavano pertanto ricondotte ai criteri legali. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 5 agosto 2016, condannò il convento a regolarizzare le sole luci poste al primo piano applicandovi delle grate. La sentenza veniva impugnata e la Corte di Appello la riformava in parte.
Veniva respinta la richiesta di regolarizzazione di tutte e otto le luci alla stregua delle prescrizioni normative in tema di altezza dal pavimento dell’immobile nonché di altezza suolo. La motivazione che supportava la non regolarizzazione era motivata da una valutazione opinabile. Sostengono i giudici della Corte di Appello che la regolarizzazione delle luci, conformemente a quanto previsto dall’art. 901 c.c., equivale ad ordinarne la totale chiusura delle luci. Infatti si legge nella sentenza “l’imporre ai convenuti di innalzare il
lato inferiore delle luci del piano terreno ad un’altezza di 2,5 metri dal suolo del cortili a confine (rispetto agli attuali 74 cm) e di quelle del primo piano ad un’altezza di 2 metri dal pavimento (rispetto agli attuali 58 cm) equivale ad ordinarne la totale chiusura”.
Ad avviso dei giudici di appello, sussisterebbe la necessità di contemperare i diritti in materia di apertura delle luci con i precetti costituzionali di tutela della salute, che resterebbe compromessa dalla soppressione delle aperture oggetto di lite.
Nome ordinarie e costituzionali
Siamo alle solite, l’uso della Costituzione o meglio della sua soggettiva interpretazione al fine non applicare il codice civile. Ci si dimentica che non si è negli Usa dove il controllo di costituzionalità è diffuso mentre da noi è incidentale (salvo pochissimi e tassativi casi) e rimesso alla Corte Costituzionale. Il sindacato di incostituzionalità va avviato mediante rimessione alla Corte Costituzionale a seguito di eccezione in sede processuale là dove il giudice la ritenga non manifestamente infondata.
Ma come si dice c’è, a volte, un giudice a Berlino, e per noi questa volta lo è stato la Cassazione.
Per fermarci all’esame dell’aspetto della contemperanza del diritto civile con la Costituzione la Corte di Cassazione nella sentenza in esame fa un richiamo storico delle norme che regolano il diritto di luce e veduta. Si ricorda nella sentenza la Relazione al Codice Civile del 1942 riferita all’art. 901 c.c. e il Codice del Regno d’Italia del 1865.
Conclude la Cassazione, ed è un richiamo opportuno a futura memoria dei magistrati, ricordando che le limitazioni alla proprietà privata derivanti “dall’obbligo di osservare le distanze legali, sono stabilite, al pari di tutte le altre limitazioni, anche per “fini di interesse generale, che si ricollegano alla funzione sociale della proprietà” (sentenza n. 38 del 1959 della Corte costituzionale). Aggiunge inoltre che non appare irragionevole e lesivo del diritto alla salute, come prospetta la Corte di Torino, il bilanciamento che gli artt. 901 e 902 c.c. attuano tra le concorrenti esigenze di riservatezza e di abitazione dei proprietari confinanti.
Anche questi ultimi, riservatezza e abitazione, ricordiamolo, sono diritti costituzionalmente garanti.
La Costituzione è spesso una clava o un grimaldello che serve a forzare e sfasciare il principio di legalità dimenticando che il diritto, particolarmente quello civile, che ci governa nasce da una civiltà millenaria di cui dovremmo esserne fieri difensori.
Vincenzo Vecchio