Nomadi digitali e contratti di locazione concordati, un matrimonio che “ s’ ha da fare”

Nomadi digitali e contratti di locazione concordati, un matrimonio che “ s’ ha da fare”

Il segretario nazionale Mario Fiamigi interviene sugli affitti brevi, overtourism e non solo.

Il problema dell’emergenza case in locazione è drammatico e se non affrontato con serietà e senso di responsabilità creerà gravi tensioni sociali. Appc ha nel suo DNA la ricerca di equilibrio tra remunerazione del capitale investito nell’immobile e la disponibilità a canoni accettabili per i conduttori. Non sono necessarie lotte di classe, ma una triangolazione di interventi: stato, associazioni della proprietà e dei conduttori.

APPC, come è noto, è stata la prima associazione di categoria che ha colto le trasformazioni del mercato immobiliare e l’impatto sui residenti, dei centri storici, ma non solo, che gli affitti brevi stavano provocando.

Occorre che lo Stato faccia la sua parte visto i benefici sociali ( e fiscali) che la normalizzazione contrattuale porterebbe. Occorre che tutti gli attori (proprietari, agenzie immobiliari, comuni, associazioni della proprietà e dell’inquilinato) siano preparati per affrontare una sfida anche tecnologica. Per quanto riguarda APPC le nuove sfide certamente non ci spaventano.

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Gli sconvolgimenti che l’uragano degli affitti brevi ha portato nel mondo (oramai non più limitato ai paesi occidentali viste le tensioni sociali, con conseguenti proteste anti turisti, che si sono manifestate anche nella Repubblica Dominicana, Bali e Sud Africa) richiedono una continua attenzione per comprendere nel profondo non solo le cause attuali, ma anche le dinamiche evolutive che si stanno già manifestando e che con travolgente velocità si manifesteranno in un futuro sempre più prossimo. APPC, come è noto, è stata la prima associazione di categoria che ha colto le trasformazioni del mercato immobiliare e l’impatto sui residenti, dei centri storici, ma non solo, che gli affitti brevi stavano provocando. Città luna park, espulsione delle famiglie dai quartieri più appetiti dai turisti, aumento generalizzato dei prezzi soprattutto degli immobili (nelle Isole Baleari gli affitti quest’anno sono aumentati del 18% rispetto all’anno precedente).

Si tratta di numeri che fanno crescere l’inflazione reale rispetto a quella nominale e alla fine si traducono in una tassa occulta per le classi più deboli. Impoverimento e degrado della rete commerciale sono alcuni degli effetti che questo fenomeno ha innescato (ben sintetizzato dai termini anglosassoni overturism e gentrification). Peraltro i tentativi messi in atto da vari paesi, compreso l’Italia, di arginare il fenomeno, si prestano a fondate osservazioni circa la legittimità di porre vincoli alla proprietà privata e comunque non hanno al momento fornito esiti soddisfacenti. Anche per questo forse è giunto il momento di affrontare il problema con ottica diversa, provando a “governare” un fenomeno globale che è generato da molti fattori di cui il più importante, secondo gli analisti, è il “digital nomad” , il nomadismo digitale, termine coniato da Tsugio Makimoto e David Manners in un libro del 1997 i quali, con grande capacità di preveggenza, avevano immaginato che l’accessibilità al wi-fi, la digitalizzazione e la umana passione di esplorare il mondo, avrebbero creato una generazione di lavoratori globe-trotter.

E così è avvenuto, con un trend che è esploso negli ultimi anni anche per effetto della pandemia che ha fornito la prova sul campo della possibilità di lavorare online. Ma il digital nomad sta cambiando, la figura iniziale aveva un carattere pioneristico che riguardava essenzialmente giovani maschi bianchi impiegati in industrie ad alta tecnologia, una ristretta elite di grandi possibilità economiche amante di una vita glamuor che soggiornava per pochi giorni in un luogo per poi cambiare con frequenza città, nazione e continente. Ora siamo passati ad un fenomeno di massa che coinvolge nuclei familiari e che comporta residenze di più lunga durata e, secondo i dati di agenzie specializzate riportate alcuni giorni fa da Lynn Brown della BBC, oggi trentacinque milioni di persone si considerano nomadi digitali.

Questo cambiamento epocale può diventare un’opportunità sia per le comunità residenti sia per la piccola proprietà perché queste locazioni possono essere normalizzate inserendole all’interno degli schemi dei contratti transitori previsti dalla legge 431/98. Per le comunità perché i nuclei familiari più facilmente si integrano e interagiscono con i residenti storici, non impattando in modo significativo sull’aumento dei prezzi e salvaguardando la rete commerciale tradizionale.

Ma anche per la piccola proprietà perché, anche a fronte di un ipotetico e sempre più incerto guadagno sul canone, si svincolerebbe dalla mediazione “obbligata” delle piattaforme digitali con tutte le difficoltà conseguenti, potendo gestire direttamente e in modo tradizionale il rapporto contrattuale. Certo, occorre un grande lavoro anche di “marketing” per far conoscere a tutti, potenziali locatori e conduttori, le condizioni dei contratti ad uso transitorio. Occorre che lo Stato faccia la sua parte visto i benefici sociali ( e fiscali) che la normalizzazione contrattuale porterebbe. Occorre che tutti gli attori (proprietari, agenzie immobiliari, comuni, associazioni della proprietà e dell’inquilinato) siano preparati per affrontare una sfida anche tecnologica. Per quanto riguarda APPC le nuove sfide certamente non ci spaventano.

Mario Fiamigi segretario nazionale APPC

immagine creata con intelligenza artificiale

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